Strategia perdente


Science communication, così si dice oggi. E sotto questo cappello ci va a finire di tutto, anche la fine (e non il fine) della cosiddetta Scienza. Un’occhiata un po’ più profonda al significato delle parole ci porta davanti agli occhi l’ambivalenza del termine communication, comunicazione. Nei fatti, è marketing: mercanteggiamento, motore di commercio. Compra-vendite non solo di beni o servizi, ma sempre più spesso di riconoscibilità e legittimazione sociale.

Le istituzioni come i musei delle scienze o di storia naturale (per esempio quello di Montebelluna, provincia di Treviso) lottano duramente contro il definanziamento/dismissione da parte del settore pubblico cui appartengono cercano di sopravvivere anche e soprattutto reinventandosi. Divenendo altro, un poco oltre la metà del guado tra istruzione e divertimento, cercando di essere qualcosa di più attraente verso un target  ben definito, una fetta di mercato ampia e promettente.

Il mercato in questione si chiama edutainment, ovvero: inizio raccontandoti una storiella educativa, ma poi finisce che ci facciamo una grassa risata tutti insieme e l’unica cosa che mi interessa è di venderti il gadget o farti abbonare al prodotto/servizio dello sponsor di turno.

Il target diretto di questa operazione commerciale sono i bambini; ma l’interesse per i fanciulli non contiene alcunchè di pedagogico, è solamente il passaggio irreversibile verso le sempre più ristrette casse familiari, compiuto per interposta pargoletta mano, tesa non più verso i bei vermigli fior del verde melograno nel cortile ma attrattatta da pseudo-supereroi creati ad hoc ed altre bassezze di questo genere.

Argomenti e modalità raccolgono il peggio dei due ambiti che cercano di tenere assieme, l’informazione – istruzione – educazione e lo spettacolo. Cazzotti nella retina, pagine o grafiche ipercolorate rigorosamente tinta pastello, carattere corpo 16 con abbondanza di grassetto, attività pratiche che si risolvono in fenomeni eclatanti generati quasi sempre a partire dalle stesse reazioni chimiche. L’importante è che il feticcio dell’esperimento si possa ostentare vigorosamente, qualunque opera manuale viene proposta come attività scientifica sperimentale.

E così il mondo si va riempiendo di girandole e dinosauri, matite colorate e palloncini che non volano perchè l’elio costa.

E così il museo, da luogo già abitato dalle muse ispiratrici dell’agire umano, si fa caricatura dell’avanspettacolo inventandosi una ribalta che non c’è su cui sbattere per tre minuti il dottorando di turno con la promessa che la fama lo potrà accogliere, se è bravo a strappare applausi, e poi magari chissà il carrozzone dello star-system potrebbe avere un posto libero e garantire un piatto di lenticchie mentre della produzione di saperi ce ne siamo tutti scordati, tanto ormai è uscito anche l’iPhone6.

La comunicazione della scienza non mette in comune il sapere, il lavoro e il metodo ma è un altro sottoramo del varietà orfano di Magalli e Pippo Baudo.

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